Il mutuo fondiario, in sintesi, è un finanziamento di medio o lungo termine, fino a un massimo di trent’anni, stipulato con la contestuale iscrizione di un’ipoteca di primo grado sull’immobile a garanzia del credito da erogare; la somma rilasciata dalla banca non può oltrepassare l’80% del prestito. Gode di tassi agevolati, ma proprio per la tipologia e la bassa redditività per la banca, ha una disciplina molto vantaggiosa per questa in caso di insolvenza o fallimento del mutuatario, visto che in queste ipotesi ha diritto a soddisfarsi sula prezzo di vendita immediatamente e per l’intero (salvo le prededuzioni). Nel caso di cui si è occupata la Cassazione (Cass. 3024/2020) una banca aveva utilizzato questo strumento per ristrutturare la posizione di una società molto esposta e con altri prestiti ipotecari, rientrando di gran parte del debito e assicurandosi una posizione di vantaggio in caso di fallimento della società, evento che poi effettivamente si era verificato pochi mesi dopo. Così facendo aveva trasformato un normale prestito ipotecario, senza particolari privilegi in fondiario.
Il curatore però, vista l’operazione, aveva declassato il credito a chirografo e pertanto ne era derivata una controversia arrivata in Cassazione. La Suprema Corte ha confermato la bontà dell’operato del curatore affermando questo principio: “nel mutuo fondiario è proprio la garanzia costituita dall’ipoteca a conformare il credito (merito e quantità): così dando vita a una speciale tipologia di operazione, che il sistema vigente ha inteso proteggere in modo peculiare (con l’assegnazione di forti vantaggi disciplinari), in ragione della rischiosità sua intrinseca. Ne segue che un mutuo non può, nel corso di svolgimento del relativo rapporto, diventare fondiario. Nel caso di ipoteca posta a servizio di un preesistente mutuo, quest’ultimo rimane semplicemente un ordinario mutuo”