Source: Danno tanatologico va riconosciuto se vittima era lucida prima di morire | Altalex

Di Maria Elena Bagnato – Avvocato

Ok al risarcimento agli eredi per il danno di natura catastrofale per la vittima d’incidente che arriva lucida in ospedale. Si configura il danno tanatologico in capo alla vittima, la quale, essendo dotata di capacità giuridica, può trasmetterlo agli eredi.

E’ quanto precisato dalla terza sezione civile della Cassazione nella sentenza 23 ottobre 2018, n. 26727.

Nella vicenda in oggetto, è stato accolto il ricorso delle congiunte del de cuius, le quali avevano agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno tanatologico, derivato dal decesso del rispettivo marito e padre, in conseguenza di un sinistro stradale.

Nell’esaminare il caso de quo, la Cassazione ha ribaltato la decisione della Corte d’appello, non condividendone il mancato riconoscimento del danno c.d. tanatologico o catastrofale. In particolare, il giudice di merito ha ritenuto che la morte del danneggiato fosse avvenuta immediatamente dopo le lesioni da questi subite, senza considerare il tempo intercorso tra il sinistro e la morte, in palese contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, il danno suddetto va ricondotto al danno morale come sofferenza derivante dal morire lucidamente e consapevolmente.

A ciò si aggiunge che la corte territoriale ha escluso la sussistenza di tale danno, richiamando a fondamento la relazione del medico legale che aveva eseguito l’autopsia, secondo il quale “l’exitus avvenne repentinamente, con passaggio brusco” dalla buona salute alla “grave malattia mortale”. In realtà, i giudici di merito non hanno tenuto conto della distanza temporale fra il sinistro e la morte, di quasi due ore, e che il ciclista “fino a pochi istanti prima del sopraggiungere della morte” sarebbe stato “perfettamente lucido, tanto da riuscire persino a rispondere alle domande postegli dagli operatori sanitari giunti in suo soccorso, senza infine, considerare “l’attività professionale svolta dalla vittima”, che era medico.

 

La Suprema Corte ha inoltre ritenuto “clamorosamente contraddittorio” il ragionamento della relazione medica, il cui contenuto, sarebbe riferibile ad un infarto fulminante o ad eventi simili, ma non alle lesioni subite da un ciclista per l’investimento di un veicolo. A ciò si aggiunga, che il danneggiato, essendo un medico, ha avuto la consapevole percezione della morte imminente.

La Cassazione ha poi precisato che, se la morte è immediata o segue alle lesioni “entro brevissimo tempo” non sussiste diritto al risarcimento jure hereditatis, osservando altresì che l’attuale impostazione pone “il danno al centro” del sistema della responsabilità civile, sempre più oggettiva; danno che deve identificarsi nella “perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridicamente soggettiva”. Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nell’ipotesi di morte per atto illecito il conseguente danno è la perdita del bene giuridico “vita”, che è “bene autonomo”, fruibile solo dal titolare e non reintegrabile per equivalente.

Tra le numerose pronunce della corte di legittimità, assume rilievo, per il caso in esame, la sentenza n. 21060, Cass. sez. 3, 19 ottobre 2016, in cui emerge una distinzione tra il danno biologico e il danno psicologico-morale propri della fase terminale della vita. Nello specifico, secondo tale pronuncia, il diritto al risarcimento del “danno biologico terminale” è configurabile, e dunque trasmissibile jure hereditatis ove intercorra “un apprezzabile lasso di tempo” tra la lesione e la morte, non essendo rilevante che durante tale periodo, la vittima abbia mantenuto lucidità, presupposto invece del diverso danno morale terminale, configurabile danno tanatologico come danno morale terminale o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico, già rinvenibile, nelle sentenze delle S.U. dell’11 novembre 2008 nn. 26772 e 26773, e consistente nella sofferenza che si prova per la consapevole percezione dell’ineluttabile approssimarsi della morte. Orbene, per verificare la sussistenza di quest’ultimo danno, rileva il criterio dell’intensità della sofferenza patita “a prescindere dall’apprezzabile intervallo di tempo tra lesioni e decesso”. Al contrario, nel caso ” di morte cagionata dalla lesione”, è risarcibile il “danno biologico terminale” qualora le lesioni siano separate dalla morte da un “apprezzabile lasso di tempo”, danno questo che la vittima subisce anche se non è cosciente e che è trasmissibile jure hereditatis.

In virtù della netta scissione tra danno biologico terminale e danno morale terminale, quest’ultima pronuncia si discosta rispetto all’insegnamento “unitarista” delle S.U. n. 15350/2015 in quanto esige, per la risarcibilità del danno biologico terminale, un “apprezzabile lasso di tempo”, laddove le Sezioni Unite pongono come esimente dalla relativa responsabilità risarcitoria, il decorso di un “brevissimo tempo”.  Nel caso in cui il soggetto sia rimasto lucido nello spatium temporis tra la lesione e la morte, dal momento che, se la sua lucidità viene manifestata, non si può negare la risarcibilità del danno non patrimoniale, che sussiste sia sotto il profilo biologico sia sotto il profilo psicologico “morale”. Non è ammissibile che la sofferenza umana possa essere un elemento giuridicamente irrilevante, ovvero che l’assenza di sofferenza umana sia un elemento senza rilevanza.

Nella fattispecie in esame, la lucidità dl danneggiato si è manifestata inequivocabilmente: anche a prescindere, dal fatto che lo spatium temporis emerge essere stato tutt’altro che il “brevissimo tempo” cui si riferiscono le Sezioni Unite nella sentenza sopra citata, per escludere il risarcimento, trattandosi, nel caso in oggetto, addirittura di ore; occorre precisare che tale lucidità è provata dal fatto che, la cronologia degli eventi è stata confermata dalle dichiarazioni della stessa vittima, come riferito da un soccorritore.

Pertanto, atteso che il soggetto era lucido in quanto rispondeva ai sanitari ricostruendo la “cronologia degli urti”, quindi percepiva la sua tremenda situazione, tale da non poter non indurre il forte timore della morte imminente e lo strazio per l’abbandono dei congiunti. A ciò si aggiunga, inoltre, che il danneggiato era un medico, dunque la sua consapevolezza della morte imminente non poteva non essere particolarmente intensa. Tali elementi, rilevanti per la determinazione del quantum risarcitorio, non sono stati presi in considerazione dalla corte di merito. Pertanto, la corte territoriale, ha violato l’art. 2043 c.c., escludendo il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale rappresentato dall’agonia della vittima, – sia da un punto di vista biologico che psicologico-morale; diritto sorto in capo al danneggiato quando questi era dotato di capacità giuridica, e pertanto trasmesso jure hereditatis alla moglie e alle figlie.

Per tali argomentazioni, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rinvio anche per le spese processuali.

(Altalex, 20 novembre 2018. Nota di Maria Elena Bagnato)

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