Uno degli aspetti che rende appetibile la procedura di accordo prevista dalla legge 3/2012 è la possibilità di stralciare i debiti e giungere alla cd esdebitazione, con il raggiungimento dell’adesione del 60% dei crediti, percentuale che, tenendo conto che il mancato invio del voto si considera equivalente all’adesione, non è così difficile da raggiungere. Ma c’è un altro elemento che testimonia il favore del legislatore per tale istituto.
Capita infatti spesso che, quando uno dei creditori sia l’amministrazione finanziaria ed in particolare Agenzia Riscossione, questi invii un voto negativo. Il motivo dell’avversione dell’amministrazione dello Stato per l’istituto molto spesso si basa semplicemente sul fatto che il funzionario di turno che deve esaminare la proposta, per non incorrere in responsabilità contabili e personali, preferisce dare voto negativo, senza considerare i risvolti ed il merito della questione. Per evitare questo problema, che di fatto renderebbe improcedibili la maggior parte degli accordi, con la riforma del Natale 2020 è stato inserito il comma 3-quater all’articolo 12 legge 3/2012, prevedendo espressamente che il tribunale possa omologare ugualmente l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria “quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 11, comma 2, e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’organismo di composizione della crisi, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria“. In pratica, quando il voto negativo risulti illogico o addirittura controproducente da un punto di vista economico, allora il tribunale può ignorare tale rifiuto. Si tratta del cd cram down (in pratica, ingoiare il rospo) a cui la Pubblica Amministrazione deve sottostare.
Che succede però se il rifiuto non sia espresso dall’amministrazione finanziaria, ma da quella previdenziale? Stando alla lettera della norma potrebbe desumersi che il voto negativo non potrebbe essere ignorato dal giudice, essendo i due soggetti diversi anche se facenti parte dell’amministrazione dello Stato. A questo dubbio ha risposto il Tribunale di Spoleto, il quale, con un recente provvedimento di apertura di un accordo, ha stabilito che il cram down si applica anche agli enti previdenziali. Le ragioni sono molteplici. Il giudice parte dalla constatazione che il cram down previdenziale è prevista da altre norme della attuale legge fallimentare in materia di concordato e accordo di ristrutturazione e diventerà la regola nel nuovo Codice della crisi di (speriamo) prossima pubblicazione. Effettua quindi una lettura costituzionalmente orientata della norma analizzando la sentenza della Corte Costituzionale 245/2019, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 L. n. 3 del 2012 nella parte in cui non consentiva, nell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, la falcidia del credito IVA, ammissibile invece nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione. La Corte Costituzionale, esaminando gli istituti in questione, è giunta alla conclusione della sostanziale identità delle procedure ex legge 3/2012 con quelle “maggiori” della legge fallimentare, giungendo a dichiarare l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., di ogni norma che crei una difformità tra la legge 3/2012 e le norme equivalenti della legge fallimentare. Per tale motivo non è possibile considerare diversamente le amministrazioni previdenziali rispetto a quelle finanziarie.
Nel caso di specie quindi l’accordo è stato omologato pur con il voto negativo dell’INPS.
La sentenza è presa dal sito de “Il Caso”