L’art. 2901 cc prevede che il creditore possa chiedere che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni in presenza di determinati requisiti. L’azione revocatoria ordinaria è uno degli strumenti più utilizzati per riuscire a recuperare utilmente il proprio credito. Ma se le disposizioni patrimoniali sono contenute in un accordo di separazione consensuale, possono essere utilmente revocate? La risposta della Suprema Corte è affermativa. In una recente sentenza (Cass. 21839/2019) la Cassazione ha esaminato la seguente fattispecie.
Un consulente finanziario aveva sottratto una notevole somma (oltre due milioni di euro) ad una persona poi deceduta. Il procedimento penale era terminato coni il patteggiamento. Nel frattempo il consulente aveva ceduto tutti i suoi immobili alla moglie con un accordo di separazione consensuale e pertanto la vedova del truffato aveva chiesto in sede civile la revoca di tale disposizione patrimoniale. Il giudizio di primo grado e l’appello aveva respinto la domanda, ritenendo che gli accordi di separazione non fossero revocabili. La Cassazione ha invece riformato la sentenza stabilendo che
“l’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico predetto e che ad esso non sono immediatamente riferibili: si tratta di quegli accordi che sono ricollegati, si potrebbe dire, in via soltanto estrinseca con il patto principale, relativi a negozi i quali, pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti «in occasione» della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale .”
Per tali pattuizioni pertanto può benissimo essere invocata l’azione revocatoria.