Un creditore agisce esecutivamente nei confronti dell’INPS, sottoponendo pignoramento le somme detenute presso la tesoreria e ottenendone l’assegnazione. Trattandosi di una somma precettata inferiore ad € 1.100,00, L’INPS propone opposizione ex art. 615 cpc dinanzi al Giudice di pace, il quale accoglie l’opposizione. Il creditore quindi appella, ma la Corte d’Appello respinge il gravame in quanto, essendo la somma precettata inferiore ad euro 1.100,00, la sentenza impugnata doveva considerarsi pronunciata secondo equità e quindi sarebbe spettato all’appellante individuare specificatamente i principi informatori o regolatori della materia rimasti violati, onere al quale questi non aveva ottemperato. L’art. 339 cpc infatti prevede espressamente che “Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”. La Cassazione, dopo aver respinto il ricorso, ricorda che la modifica dell’art 616 che ha di nuovo rese appellabili le sentenze del giudice in materia di opposizione all’esecuzione non ha creato un regime speciale di impugnazione per cui vale sempre l’art. 339 cpc pronunciando la seguente massima: “In tema di opposizione all’esecuzione, pur dopo l’abrogazione, ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69, del divieto di appellabilità (introdotto, modificando l’art. 616, ultimo comma, cod. proc. civ., dalla legge 24 febbraio 2006, n. 52), le sentenze del giudice di pace pronunciate, in ragione del valore della lite, secondo equità necessaria sono appellabili solo per le ragioni indicate dall’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., ossia con motivi limitati“.
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Avv. Paolo Baliani
Sono iscritto all’albo degli avvocati ormai dal 1998 e opero prevalentemente in Umbria nei Tribunali di Spoleto, Perugia e Terni. Per una mia precisa inclinazione caratteriale, tendo a prediligere i rapporti personali con i clienti, affrontando le varie questioni sotto ogni aspetto e cercando di trovare soluzioni stragiudiziali e compositive se possibili, non sottovalutando il lato umano dei problemi che mi si presentano. (continua)
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COSA VUOL DIRE “GRANDE AVVOCATO”
Cosa vuol dire «grande avvocato»? Vuol dire avvocato utile ai giudici per aiutarli a decidere secondo giustizia, utile al cliente per aiutarlo a far valere le proprie ragioni. Utile è quell’avvocato che parla lo stretto necessario, che scrive chiaro e conciso, che non ingombra l’udienza con la sua invadente personalità, che non annoia i giudici con la sua prolissità e non li mette in sospetto con la sua sottigliezza: proprio il contrario, dunque, di quello che certo pubblico intende per «grande avvocato»
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