Una delle norme a cui chi subisce un’esecuzione immobiliare si appiglia come ultima ancora di salvezza, è l’art. 586 cpc. Succede infatti molto di frequente che l’immobile pignorato, stimato 100, arrivi dopo varie vendite deserte ad essere messo in vendita a 30 o anche a meno, creando un vero e proprio danno al creditore procedente e anche all’esecutato che alla fine dell’esecuzione vedrà il suo debito praticamente immutato. L’art. 586 cpc sembra pensato per questa ipotesi. Il primo comma infatti afferma: “Avvenuto il versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione può sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto…”. Ma quando il prezzo è inferiore a quello giusto? A questa domanda ha dato una risposta la Corte di Cassazione (Cass. 18451/2015) dettando una serie di regole: “il potere di sospendere la vendita …… può essere esercitato allorquando a) si verifichino fatti nuovi successivi all’aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l’esercizio del potere del giudice dell’esecuzione”.
Come si legge, sono tutte ipotesi che non prendono minimamente in considerazione il valore di mercato dell’immobile, ma si preoccupano soltanto della correttezza dell’applicazione delle regole e dall’iter procedurale nella formazione del prezzo. Così delimitata, la norma però e sicuramente depotenziata e offre meno appigli per il debitore esecutato. Recentemente il Tribunale di Cagliari ha ribadito tale impostazione. Nel caso specifico l’immobile era stato stimato inizialmente 380.000 euro e poi venduto a 133.000, circa un terzo del valore iniziale. L’opposizione avanzata dal debitore sulla base dell’art. 586 cpc è stata però respinta dal Tribunale che ha applicato alla lettera le regole dettate dalla Suprema Corte.